Cos'è lo Shiatsu
Scegliamo (e costruiamo) il nostro albero.

Lo shiatsu, antica disciplina orientale (letteralmente significa “pressione delle dita”), ha effetti molto positivi sulla ricerca del benessere, sia dal punto di vista fisico che psichico.

E’ l’arte del curare con il tocco delle dita.

Tutti conosciamo il potere di una carezza, di un abbraccio, di un massaggio, azioni che possono alleviare stati di angoscia e sconforto, e condizioni di forte dolore fisico.

Tra i popoli orientali, lo studio della medicina si è sempre basato sull’osservazione e poi sulla pratica, un metodo che ha permesso di intuire che, come effetto indotto dalle malattie, determinati punti del corpo umano appaiono al tatto più freddi o più caldi, più solidi o più molli, e che questi punti, molto frequentemente, possono essere messi in relazione gli uni con gli altri. Da qui la convinzione che nel corpo umano l’energia vitale circoli in canali ben precisi, i “meridiani”.

Dopo lunghe osservazioni, si decise di dividere il corpo umano in dodici meridiani, in cui vennero identificati centinaia di punti (associati ad organi e porzioni del corpo ben precise). Ci si rese conto che, ogni volta che una determinata parte del corpo umano si ammalava, il punto corrispondente ne esternava il problema e che, solo agendo su tali punti, l’energia del corpo avrebbe potuto ricominciare a fluire liberamente, spazzando via anche la malattia.

Lo shiatsu dà immediato beneficio, risultando uno dei migliori mezzi per combattere lo stress. La manipolazione interviene sul sistema nervoso, soprattutto sul parasimpatico (che determina le azioni istintive ed incontrollate), inducendo uno stato di completo rilassamento, con benefici che si ripercuotono anche a livello fisico…

- - - - - - - - - -

Per circa vent’anni ci siamo proclamati “terapisti”; abbiamo parlato di “curar le malattie”, di “pazienti” e scritto, non tutti ma molti, che lo shiatsu “serve per le cervicalgie, l’artrosi, i disturbi ginecologici ecc.” 

Ci siamo a tutti gli effetti considerati “professionisti che curano”. 

Ma pian piano la pratica dello shiatsu, quel che succedeva (o non succedeva) nel corso e dopo i trattamenti, i mutamenti che registravamo in noi e nelle persone con cui ci relazionavamo, in una parola la realtà che incontravamo tutti i giorni dentro e attorno allo shiatsu ci ha costretti a cambiare registro e parere. 

- - - - - - - - - -

Ci siamo accorti che al di là del beneficio sul sintomo, le pressioni creavano un generale risveglio della vitalità che aveva dinamiche proprie, che non rispettava le nostre intenzioni (il “progetto terapeutico” come lo chiamano pomposamente i medici) ma seguiva andamenti e esprimeva priorità nate dal bisogno “profondo” di Uke. 
Ci siamo accorti della centralità della relazione tra i due praticanti, relazione che non aveva una parte attiva e una passiva, una dominante e una sottomessa, ma esprimeva una collaborazione tra pari per un benessere comune. 
Ci siamo accorti che la pratica shiatsu poteva costruire per Uke e per noi un nuovo modo di essere e di vivere; poteva innescare una evoluzione personale verso una vita più piena e consapevole. 

Tutto questo ha via via messo la sordina, emarginato, portato in secondo piano l’aspetto “remissione del sintomo” che prima tanto ci gratificava e portava a noi le turbe sofferenti. Pian piano, domande come “dove sta il confine fra salute e malattia?” oppure “quando posso considerare il paziente guarito” ci hanno portato a mettere in crisi lo stesso concetto di malattia, a non riconoscerci più nella “società patologica” che ci circonda e che cerca di inquadrarci; ad esprimere nuovi contenuti e una nuova cultura, o meglio embrioni di nuova cultura. 
Resta vero che le persone che ci cercano sono totalmente omogenee alla cultura dominante e vengono a fare shiatsu per la cefalea e il mal di schiena, ma praticando con noi non possono non incontrare un modo nuovo di rapportarsi a sè stessi e alle proprie manifestazioni, di porsi in relazione con un universo che sempre li affascina e che spesso li coinvolge, rivoluzionando, poco o tanto, la loro vita. 

L’importante che da subito dichiariamo e riconosciamo il filone culturale a cui apparteniamo; costruendo e strutturando l’albero comune di cui intendiamo essere i (diversi) rami.

RICHIEDI INFORMAZIONI

    Il tuo nome (richiesto)

    La tua email (richiesto)

    Oggetto

    Il tuo messaggio